IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa a carico di Mauro Francesco, nato il 28 giugno 1979 a Messina, ivi residente via degli Appennini n. 102, marinaio, imputato del reato di furto militare (art. 230, c.p.c., comma 1, c.p.m.p.) "perche' militare effettivo al Parco Pompieri dell'Arsenale militare della Spezia, il giorno 20 novembre 1997, all'interno dei locali docce site presso le camerate del primo piano Parco Pompieri, si impossessava di un rasoio elettrico marca "Brawn", di proprieta' del militare Vhr Massimiliano, sottraendolo dal muretto divisorio delle docce ove quest'ultimo lo aveva momentaneamente appoggiato". Premesso: al termine dell'udienza dibattimentale il p.m. ha chiesto la condanna dell'imputato alla pena di mesi sei di reclusione militare; la Difesa ne ha chiesto, invece, l'assoluzione perche' il fatto non sussiste. Nel corso dell'istruzione dibattimentale sono state acquisite, oltre ad alcuni documenti, la testimonianza del maresciallo CC Pericoli Dante e della persona offesa Vhr Massimiliano. Dal complesso delle prove acquisite risulta che in data 20 novembre 1997 fu sottratto il rasoio elettrico al militare Vhr, che lo aveva lasciato momentaneamente nei locali igienici della caserma. Dopo circa una settimana, la persona offesa rivide il proprio rasoio all'interno dell'armadietto del commilitone Mauro, riconoscendolo grazie ad una lieve ammaccatura; in seguito, l'imputato consegno' tale oggetto ai carabinieri, prima che si procedesse alla perquisizione del suo armadio. O s s e r v a L'art. 12 della legge 25 giugno 1999 n. 205 (Delega al governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario) ha aggiunto all'art. 624 c.p. un comma che prevede: "il delitto e' punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o piu' delle circostanze di cui agli artt. 61, n. 7) e 625 c.p.". Per quanto riguarda i reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge citata, l'art. 19 del medesimo testo normativo dispone che, se la persona abbia avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato, il termine per la proposizione della condizione di procedibilita' decorra dalla data in cui e' entrata in vigore la legge n. 205/1999 (13 luglio 1999). Inoltre, tale norma prevede che, in pendenza del relativo procedimento penale, il giudice debba informare la persona offesa dal reato della facolta' di esercitare il diritto di querela; in quest'ultimo caso, il termine decorre dal giorno in cui la persona e' stata informata. La questione eccepita appare rilevante, in primo luogo, per la specie di reato attribuito all'imputato, in ordine al quale non figurano circostanze aggravanti. Secondariamente, la rilevanza della questione, deriva sia dalla necessita' d'informare la persona offesa dal reato della facolta' di esercitare il diritto di querela, secondo quanto previsto dall'art. 19 della legge n. 205/1999; sia dalla esigenza di una prioritaria valutazione circa l'esistenza dei presupposti per il corretto esercizio dell'azione penale. Nel merito, questo giudice, preso atto che il richiamato art. 12 fa esplicito riferimento unicamente al reato di furto previsto dall'art. 624 c.p., non ritiene che la nuova disposizione legislativa possa essere estesa in via interpretativa anche al reato di furto militare, previsto dall'art. 230 c.p.m.p. Al riguardo, militano la natura tassativa del richiamo al solo reato comune e ragioni di certezza giuridica; criteri che questa Corte costituzionale ha indicato con la sentenza n. 272 del 25 luglio 1997, a proposito dell'applicabilita' dell'ultima amnistia, oltre che al reato previsto dall'art. 640, comma 2, c.p., anche al corrispondente reato militare, previsto dall'art. 234, comma 2, c.p.m.p.). Nel recente passato, l'omessa estensione ai reati militari di modifiche introdotte per le fattispecie penali comuni ad essi corrispondenti ha gia' determinato situazioni di sopravvenuta illegittimita' costituzionale. Nella sentenza costituzionale n. 2 dell'8 gennaio 1991, che ha interessato il reato di furto militare d'uso (art. 233, comma 1, n. 1 c.p.m.p.), in relazione al reato di furto d'uso (art. 626, comma 1, n. 1, c.p.), si osserva che "... non si ravvisano valide esigenze, proprie del consorzio militare, tali da rendere razionalmente giustificabile la cosi' sopravvenuta diversificazione di disciplina del furto militare d'uso, rispetto al furto d'uso comune ..." e si evidenzia, piuttosto, l'identita' della condizione alla quale si ricollegano tali fattispecie. Questa Corte, con sentenza n. 448 del 4 dicembre 1991, comparando tra loro i reati di peculato (art. 314 c.p.) e peculato militare (art. .215 c.p.m.p.), ne ha sottolineato "la sostanziale identita'", ritenendo irrazionale che le modifiche introdotte per la norma penale comune non fossero state estese anche a quella penale militare. Tale orientamento e' stato ribadito anche con la gia' citata sentenza Costituzionale n. 272 del 1997; nonostante sia stato sottolineato che, in materia di amnistia, spetta al legislatore una competenza esclusiva e difficilmente sindacabile, circa l'individuazione dei criteri di scelta dei reati cui applicare la speciale causa estintiva. Ai fini che qui interessano, la natura eccezionale dell'istituto dell'amnistia rende particolarmente significativa la sentenza dove i reati previsti dagli artt. 640, comma 2, c.p. e 234, comma 2, c.p.m.p. sono ritenuti "perfettamente corrispondenti"; nonostante la loro differente pena edittale e malgrado il reato militare sia caratterizzato dagli elementi specializzanti della qualita' di militare del soggetto attivo e dell'amministrazione pubblica danneggiata. A proposito di questi ultimi due elementi, anzi, si e' precisato in sentenza che nessuno di essi avrebbe potuto fornire una coerente giustificazione alla disparita' di trattamento sottoposta al Giudizio della Corte. La questione che le parti hanno prospettato al Tribunale militare richiede un attento confronto tra il reato comune di furto (art. 624 c.p.) e il reato di furto militare (art. 230, comma 1, c.p.m.p.). In primo luogo, da un punto di vista meramente sistematico, si nota che entrambi i reati sono classificati, nei rispettivi codici, tra i reati contro il patrimonio. Tale comune inquadramento e' gia' un sintomo dell'identita' dei beni giudici tutelati dalle norme in raffronto; caratteristica, quest'ultima, che non e' propria di ogni relazione che intercorre tra i reati non esclusivamente militari (privi, cioe', dei requisiti indicati dall'art. 37, comma 2, c.p.m.p.) e i reati comuni ad essi corrispondenti. Passando alla comparazione dei precetti normativi, si individuano, quali elementi specializzanti del reato di furto militare, la qualita' militare del soggetto attivo, del soggetto passivo e del luogo in cui il delitto e' stato commesso. Per quanto riguarda le prime due peculiarita' del reato di furto militare, la richiamata giurisprudenza costituzionale ha mostrato di non ritenerle cosi' significative da determinare una sostanziale diversita' tra la norma penale militare e la speculare fattispecie comune. Inoltre, poiche' puo' essere qualificato come furto militare soltanto il fatto che presenti tutti e tre gli elementi specializzanti anzidetti, ne deriva che lo status militare del soggetto attivo e del titolare del bene giuridico protetto risulta addirittura irrilevante, qualora il reato non sia stato commesso in luogo militare. L'elemento costitutivo del "luogo militare", dunque, rappresenta una piu' marcata caratterizzazione del reato previsto dall'art. 230 c.p.m.p.; il cui ultimo comma, del resto, indica la nozione di luogo militare agli effetti della legge penale militare. Occorre stabilire, tuttavia, se il requisito del luogo militare assuma una tale importanza da giustificare rilevanti divergenze dalla normativa penale comune che, nel caso posto all'attenzione di questo giudice, si sostanzierebbero nella costante procedibilita' di ufficio per il reato di furto militare. Un primo rilievo, complementare a quelli gia' svolti a proposito della qualita' militare dei soggetti del reato, mostra come, in luogo militare, possano essere commessi reati di furto riferibili all'art. 624 c.p. ogniqualvolta difetti la qualita' di militare nel soggetto attivo, o nel soggetto passivo oppure in entrambi i soggetti. Di conseguenza, la natura militare del locus commissi delicti, richiesta dal reato previsto dall'art. 230 c.p.m.p., anziche' esprimere una particolare esigenza di tutela sembra rivolta, piuttosto, a delimitare l'ambito di applicabilita' della norma penale speciale. Il luogo militare, del resto, e' un elemento costitutivo proprio anche del reato di furto (militare) d'uso, previsto dall'art. 233, comma 1, n. 1, c.p.m.p., in quanto tale reato trae parte dei propri elementi costitutivi proprio dall'art. 230 c.p.m.p.; tuttavia tale circostanza non e' stata ritenuta di ostacolo alla pronuncia della citata sentenza Costituzionale n. 2 del 1991, dove la fattispecie comune e quella militare sono state valutate come sostanzialmente corrispondenti. Passando ad esaminare il profilo sanzionatorio delle norme in esame, si rileva che il reato di cui all'art. 624, comma 1, c.p. e' punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da lire sessantamila a un milione, mentre la pena edittale per il reato di furto militare previsto dall'art. 230, comma 1, c.p.m.p. e' costituita dalla sola reclusione militare da due mesi a due anni. L'esame comparato dell'astratta entita' di tali pene, dunque, mostra che per il reato comune di furto e' stabilita la pena pecuniaria e la pena detentiva massima piu' elevata; mentre per il reato di furto militare e' fissato il minimo di pena detentiva piu' elevato. Si puo' affermare, quindi, che gli elementi specializzanti propri del reato di furto militare non abbiano comportato una pena piu' severa, rispetto alla fattispecie comune. Anzi, estendendo l'esame anche agli artt. 625 c.p. e 231 c.p.m.p., rispettive circostanze aggravanti per i reati di furto in argomento, si puo' constatare che la norma penale comune contempla sempre pene piu' elevate rispetto a quella militare. A questo punto, si ritiene utile ricercare nella relazione per l'approvazione del codice penale militare di pace le ragioni delle richiamate scelte legislative. La inclusione nel codice penale militare di reati che hanno per oggetto la lesione di un interesse gia' tutelato dalla legge penale comune e' stata motivata (1/2 115 Rel. c.p.m.p.) con l'esigenza di rendere inapplicabili le pene stabilite dal codice penale; questo, sia perche' esse comprendono pene pecuniarie, considerate incompatibili con l'indole del reato militare, sia perche' ritenute non "adeguate alla entita' effettiva del fatto, avuto riguardo al suo movente e alle condizioni di persona o di ambiente", ne' "proporzionate all'entita' dei reati". In verita', il tenore letterale di tali espressioni non chiarisce se la paventata inadeguatezza delle pene comuni sia stata intesa per eccesso o per difetto. L'operato del legislatore, tuttavia, chiarisce in modo inequivocabile che le pene previste per i reati comuni furono considerate sproporzionate per eccesso; a tale conclusione si perviene confrontando le sanzioni previste per i reati militari di cui agli artt. da 215 a 237 c.p.m.p. e quelle relative ai corrispondenti reati comuni. L'esame della relazione al codice penale militare, nella parte specificamente riguardante l'art. 230 c.p.m.p. (1/2 121), chiarisce la genesi del minimo di pena fissato in due mesi di reclusione militare per la fattispecie disciplinata dal primo comma di tale norma; si legge, infatti, che: " e' stato mantenuto il minimo della pena nella misura stabilita dai codici penali militari del 1869, i quali consentivano di infliggere", per l'appunto, "la pena di due mesi di carcere militare". Pertanto, le ragioni del piu' elevato minimo edittale, caratteristico del furto militare, non sono ricollegabili ad una ritenuta maggiore gravita' della fattispecie speciale; ma, piuttosto, ad esigenze di continuita' con la codificazione militare previgente. La minor gravita' del furto militare, giustificabile con la particolare situazione di convivenza cui i militari sono tenuti, trova riscontro anche nella vigente normativa processuale che, a differenza del furto previsto dall'art. 624 c.p., espressamente richiamato dall'art. 38, comma 2, lettera g), c.p.p., non consente in ogni caso l'arresto in flagranza per tale reato militare. Secondo l'art. 12 della legge 25 giugno 1999, n. 205, come si e' visto, la punibilita' a querela del reato previsto dall'art. 624 c.p. e' esclusa quando ricorra una o piu' delle circostanze di cui agli artt. 61 n. 7) e 625 c.p.; occorre verificare, dunque, la possibile incidenza di tali circostanze rispetto al reato di furto militare. Per quanto concerne l'art. 61 n. 7 c.p., esso e' direttamente applicabile alla legge penale militare in virtu' dell'art. 16 c.p.; l'art. 625 c.p., invece, essendo una circostanza aggravante speciale e', evidentemente, applicabile al solo reato previsto dall'art. 624 c.p. Occorre rilevare, tuttavia, che tra l'art. 625 c.p. e l'art. 231 c.p.m.p. esiste uno stretto legame, reso esplicito dalla stessa relazione al codice penale militare di pace (citato 1/2 121), dove si afferma: (l'art. 231 riproduce le circostanze aggravanti dei nn. 2, 3, 4, 5 dell'art. 625 del codice penale; le sole, cioe', di cui puo' ricorrere l'applicazione in tema di furto militare". Nei casi richiamati dalla relazione, in effetti, l'art. 231 c.p.m.p. coincide esattamente con l'art. 625 c.p.; inoltre, rispetto ad essi, non presenta ulteriori o diverse circostanze. Si puo' affermare, quindi, che l'art. 625 racchiude in se' tutti gli elementi indicati dall'art. 231 c.p.m.p., e che le ulteriori circostanze contenute nella norma comune sono logicamente incompatibili con il reato di furto militare. In base a queste considerazioni, appare rispettosa della discrezionalita' del legislatore una pronuncia che adegui alla Costituzione l'art. 12 della legge 25 giugno 1999, n. 205 tale da sostituire, in relazione al reato di furto militare, il riferimento all'art. 625 c.p. con l'art. 231 c.p.m.p.; ovvero che semplicemente, rimandi alle concrete circostanze elencate nell'art. 625 c.p. L'istituto della querela trae origine dall'interesse dello Stato a stabilire una graduatoria dei valori sociali, ai quali ricollegare una tutela differenziata in relazione alla qualita' degli interessi violati. Ogni reato, infatti, anche qualora incida sulla sfera del singolo individuo, lede comunque interessi pubblici; cosicche' la scelta operata dal legislatore con la legge n. 205 del 1999 esprime una valutazione di minore interesse sociale per il reato di furto, tanto da condizionare alla proposizione della querela la possibilita' di esercitare l'azione penale per tale reato. Si e' gia' visto come il trattamento riservato alle due fattispecie di furto, tanto sul piano sostanziale che processuale, riveli un minor rigore nei confronti del reato di furto militare e come, in origine, entrambi i reati fossero invariabilmente perseguibili d'ufficio. La valutazione di un attenuato interesse sociale per il solo reato previsto dall'art. 624 c.p., insita nella citata legge n. 205, sembra aver alterato il preesistente equilibrio tra i due tipi di furto, tanto da far apparire irragionevole, a causa della minore gravita' del reato e della sua sostanziale identita' con la corrispondente fattispecie comune, la persistente perseguibilita' di ufficio per il reato furto militare. Per quanto riguarda le condizioni di procedibilita', il codice penale militare di pace prevede la richiesta di procedimento del Ministro (art. 260, comma 1) e la richiesta di procedimento del Comandante di Corpo o di altro ente superiore (art. 260, comma 2); in effetti, allo stato della normativa vigente, nessun reato militare figura sottoposto ad una condizione di procedibilita' diversa da quelle appena indicate. Tale circostanza, tuttavia, non induce questo Tribunale a ritenere che la condizione della querela sia, di per se', incompatibile con l'ordinamento penale militare. In primo luogo, si osserva che l'art. 269 c.p.m.p., dedicato all'officialita' dell'azione penale, stabilisce: "Per i reati soggetti alla giurisdizione militare, l'azione penale e' pubblica, e, quando non sia necessaria la richiesta o la querela, e' iniziata d'ufficio...". Al riguardo, la relazione al codice penale militare (1/2 138) spiega "che si e' fatto richiamo anche alla querela, tenendo presente il caso in cui un reato comune, punibile a querela della persona offesa, sia soggetto alla giurisdizione militare per ragione di connessione". Tale intendimento, per il vero, e' stato vanificato dai rigorosi limiti che l'art. 103, terzo comma, della Costituzione ha assegnato alla giurisdizione dei tribunali militari per il tempo di pace e, comunque, implicherebbe l'inapplicabilita' della querela ai reati militari. Si ritiene, tuttavia, preferibile un approccio interpretativo di tipo oggettivo che, attribuendo alla legge un significato autonomo, desumibile dal suo contenuto, non obliteri il dato normativo; diversamente, secondo la teoria soggettiva dell'interpretazione, si perverrebbe a risultati caratterizzati da immobilita' e inadeguati al mutato contesto in cui la norma e' chiamata a dispiegare i suoi effetti. Di conseguenza, si reputa tuttora operante il richiamo della querela, contenuto nell'art. 269 c.p.m.p. Per quanto riguarda, poi, le disposizioni sostanziali e processuali che disciplinano la querela esse risultano astrattamente applicabili in ambito penale militare in virtu' degli artt. 16 c.p. e 261 c.p.m.p. Per tutte le considerazioni svolte, questo giudice a quo pur consapevole dell'ampio margine di discrezionalita' che caratterizza le scelte legislative in materia di condizioni procedibilita', ipotizza una violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevole disparita' di trattamento che deriva dalla perseguibilita' di ufficio del furto militare anche nei casi in cui il corrispondente reato comune di furto risulti procedibile a querela. Il Tribunale militare, di conseguenza, ritiene non manifestante infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 230, comma 1, c.p.m.p., nella parte in cui non prevede che il delitto di furto militare sia punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o piu' delle circostanze di cui agli artt. 61 n. 7) e 231 c.p.m.p.